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17 novembre 2018

8 maggio 2018 : Dr Jekyll and Mr Hyde. I due volti di Roma.


Nel tragitto da lavoro a casa c’è più buio del solito. Turisti francesi e spagnoli si rincorrono con risate e giochi mentre Roma tace, palcoscenico bagnato di una serata di Maggio piuttosto insolita. Attraverso sulla sella della mia vespa bianca tutto Corso Vittorio Emanuele. Una volante della polizia ha fermato una Fiat panda con a bordo due ragazze. “Cosa avranno fatto!? Forse erano sulla corsia preferenziale? Oppure le avranno fermare perché sono carine?” 
Medito e inorridisco, come posso averlo fatto un pensiero del genere? Come ci stiamo riducendo se arriviamo a certe conclusioni come fossero sviluppi naturali di determinate situazioni? Mi spavento e nel frattempo supero il ponte che porta a via della Conciliazione. Roma mi si trasforma sotto le ruote e davanti agli occhi e mi mette paura. Stringo i denti per evitare di sbadigliare a bocca aperta. Ho come la sensazione che possano rompersi, come fossero fragili. 
Così mi appare Roma mia: zuppa e fragile. 
La pioggia la invade con la sua acqua fino alle fondamenta, la rende fradicia fino a sgretolarla. Ecco perché tante buche, Roma sta cedendo. 
Proseguo lungo Gregorio VII e le atmosfere romane mi appaiono sempre più simili a quelle londinesi ma di fine ottocento. Umidità e oscurità sono le protagoniste. Fasci di luce tagliano il buio più nero, creando contrasti inquietanti. Poche macchine sfrecciano per tornare a casa, impaurite anche loro da una Roma irriconoscibile. Come Mr Hyde di giorno e Dott. Jekyll di Notte, Roma cambia faccia e diventa cattiva. A Piccolomini due ragazzi guardano in lontananza la Chiesa di San Pietro. Uno di loro somiglia a un mio amico di tanti anni fa. Forse è lui. Per un istante mi viene da pensare che l’asse temporale si sia spostato, lo penso spesso e, a volte, quasi me lo auguro. Non sarebbe meraviglioso tornare indietro nel tempo anche solo per un giorno? Soprattutto: è questo desiderio completamente folle o c’è scientificamente una possibilità? 
La casa del secondo piano, quella del gatto che guarda dalla finestra, è illuminata. In una serata così nera, lei ha acceso la luce. Deve aver avuto paura per me, mi ha voluto aspettare. Mi ha voluto mandare un segnale come a dire “qui c’è luce, non temere”. C'è sempre una luce. 
Procedo sollevata da quella visione amica, mentre ai bordi delle strade i cassonetti vomitano immondizia disgustati anche loro; la vegetazione cresce incolta lungo i cigli della strada abbarbicandosi su mura scrostate e fronde di alberi abbracciano la strada come a inghiottire me e Vespa Bianca al nostro passaggio. Quando è successo che Roma è diventata così? Quando la bruttezza è diventata esponenziale al punto di cancellarne quasi la bellezza? Qualche faro delle macchine che arrivano nella marcia opposta alla mia, mi abbaglia. La strada di Casa mai come stasera m’è parsa estranea. Non mi sorprenderebbe vedere camminare un uomo con cappello a cilindro e mantello alla Dracula. Nemmeno la luna a rischiarare il cielo. Non una sola stella. 
Supero il mercato della piazzetta e scendo lungo la discesa del garage. Nessuno fiata. Tutti dormono, almeno si evitano il macabro spettacolo. Dietro una tenda, al primo piano del palazzo davanti al garage, qualcuno è ancora sveglio. C’è vita. È un segno. 
Le piante gelate dalla neve giacciono stecchite, bagnate da un tempo che somiglia più a un lunedì di fine autunno che a uno di primavera. È così che succede quando non ci si prende cura delle cose. Diventano brutte e fragili... si sgretolano e non puoi più farci niente. 
Pure la Luna stasera s’è rifiutata di dare luce a una Roma straniera. Chiudo il portone confusa da un’emozione che non ricordo di aver mai provato nei confronti di Roma mia. Poi, come sempre quando si ama incondizionatamente, attribuisco quella impressione di bruttezza e paura al tempo, alla stanchezza. Roma mia è solo stanca, ha bisogno di dormire un po’ e allora dormiamo che domani è un altro giorno.

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