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27 luglio 2012

Quando il gioco si fa duro, i duri giocano


Ieri è uscito il calendario : é fine Luglio e le vacanze sono ufficialmente terminate. 
Ho cercato in ogni modo di mantenere le distanze dalla Roma. Mi sono presa una distorsione con un sandalo tacco zero che mi ha impedito di raggiungere la squadra a Brunico. Ho evitato accuratamente le amichevoli domenicali nonostante il Guru sotto l'ombrellone mi tentasse in ogni modo 
("Allora io vado, alle 5 gioca la Roma" 
"Va bene papà vai"
"Ma tu non vieni?" 
"Non posso camminare troppo con la caviglia ridotta così...vai, è solo un'amichevole")
Mi sono rifiutata di comprare la prima partita del tour americano e ho resistito sveglia solo 20 minuti del primo tempo del match contro il Liverpool (salvo vederlo il giorno dopo in replica). Inoltre non credo che questa sera contro El Salvador metterò la sveglia, insomma non si può dire che non mi sono impegnata nel mantenere le distanze. Il perché è semplice: il mio è un rifiuto che nasce da una delusione durata un'intera stagione. Una delusione che non mi è passata con l'arrivo di Zeman, anche se ha aiutato. 
Quello che voglio dire è che a Luglio i saldi sono di gran lunga migliori del calcio mercato e delle amichevoli. Però questo è stato valido fino a ieri sera quando sono usciti ufficialmente i calendari. 
Mi sono trasformata come una super eroina . E' avvenuto tutto nel mio stomaco, uno scombussolamento tale che mi ha sussurrato: "si ricomincia". Come un comandamento, un monito, un ordine.
Così stamattina sotto ipnosi sono corsa in edicola e ho comprato il giornale per studiarmi il calendario con calma. E' stato un attimo: ho pensato che non ci saranno più Rosi, Okaka, Greco, José Angel e Luis Enrique. E' stato un attimo stupendo e ho capito che era ora di ricominciare.
Ho dato uno sguardo al calendario e ho pensato che non era poi così male (ad eccezione delle ultime due giornate). 
La prima notizia bella è che si comincia e si finisce in casa e l'esordio, Roma - Catania senza Montella in panchina, può rivelarsi una partita "facile". La seconda buona notizia è che nel periodo di miglior forma delle squadre di Zeman (cioè il girone di andata) ci togliamo due trasferte notoriamente ostiche: quella di Milano contro l'Inter e quella di Torino con la Juventus. La terza notizia è che il Derby sarà a Novembre e al ritorno in casa ad Aprile, ben 7 giornate prima che il campionato si concluda, quindi potrebbero non condizionare nessuna classifica (questo lo dico dati i precedenti derby cui ci ha abituato il Boemo). 
E poi quest'anno siamo nell'Olimpo. Almeno tutti la pensano così. Acquisti giusti e nessuna competizione a distrarci. La mia reazione è un sospiro. Ci sarà molto da lavorare. Tanti nomi nuovi e la ritrovata voglia di crederci ma da quando in qua la Roma e i Romanisti hanno paura delle sfide? Se non mi fermate inizio a parlare della splendida forma di Totti, dell'abbronzatura di Osvaldo, del Coniglio Nico Lopez, del pelato Michael Bradley, di un difensore "Vero" di nome Castan, delle verticalizzazioni magnifiche degli schemi zemaniani...continuo? beh, meglio di no, altrimenti durante l'anno di cosa parliamo? Abbiamo tutti gli ingredienti per una stagione da protagonisti..parola di Tacco12.  

PostScriptumLadri: Incredibile, sembra che la Juventus dovrà cercarsi un nuovo allenatore...chi l'avrebbe mai detto???

PostScriptumLaziE: Continuo ad adorare il fondatore della SS Lazie. Nemmeno è iniziato l'anno e già la Società Sportiva ci sta dando grandi soddisfazioni. 

07 luglio 2012

Dentro, di Sandro Bonvissuto: come un pugno o un abbraccio


Il terzo libro delle mie avventure sul Divano è stato Dentro di Sandro Bonvissuto, Einaudi.
Chi mi conosce avrà capito che amo i libri di autori contemporanei per lo più e soprattutto fuori dalla pubblicità dei media. Ci sono fenomeni editoriali che ho sposato e apprezzato ma sempre con notevole ritardo rispetto alla massa. La vera bellezza di un libro è quella di farlo tuo, se leggi una storia che in quel momento leggono tutti, come può avverarsi questo processo? 
Dentro è un libro per pochi eletti oltre ad essere un romanzo di esordio. E' pregno di parole esatte e ben ordinate all'interno di una frase. E' composto da tre racconti: Il giardino delle arance amare; Il mio compagno di banco  e Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta. 
Tre storie ciascuna che a suo modo ti prende allo stomaco per trasmetterti nuove emozioni o per fartene rivivere di vecchie. 
Il motivo che mi ha spinto a scegliere il libro di un autore a me sconosciuto è scritto nel retro della sua copertina: Sandro Bonvissuto ha quarantadue anni, fa il cameriere in un'osteria romana ed è laureato in filosofia. 
Di questo periodo ogni singola parola mi è piaciuta. Sono figlia e nipote di ristoratori e ho lavorato tra i tavoli. So cosa vuol dire essere una cameriera e so cosa vuol dire studiare all'Università. Sandro mi ha colpito al cuore volevo sapere se anche quello che aveva da raccontare era altrettanto forte. Lo è stato. 
Il primo racconto è (tra i tre) il più coinvolgente. Almeno lo è per me. E' una storia nella quale non ho potuto immedesimarmi, ho solo cercato di lasciarmi trasportare da un narratore a dir poco perfetto. Il protagonista non dice il suo nome (non lo diranno neanche quelli dei racconti successivi) e questa mancanza di definizione ti permette di entrare dentro la sua testa come fosse la tua. Insomma se quell'uomo non ha nome posso essere anche io? ti viene da domandarti e sono certa che questa domanda se l'è fatta anche Bonvissuto ed è per questo che ha messo in pratica una scelta stilistica originale quando geniale. 
Il giardino delle arance amare parla di un uomo che finisce in prigione ma a noi lettori non è dato saperne il motivo perché non aggiungerebbe nulla al racconto, anche se averlo saputo avrebbe arginato la mia curiosità non poco. Non è un delinquente è qualcuno che ci è capitato per sbaglio, che mette piede dietro le sbarre per la prima volta. 
Ci racconta così il suo incontro con il carcere, il luogo che l'avrebbe inglobato per una parte della sua vita: Massiccio. Pareva conficcato per terra, come fosse caduto dal cielo. O come fosse sbucato dal suolo faticosamente e non del tutto, gravato da un contenuto pesante.
La sua storia continua con la descrizione della cella, dei suoi compagni di prigione, la vita Dentro quelle mura a cui era concessa solo un'ora di libertà come descrive lui: Uscii, però mi ritrovai sempre dentro. Stavolta in un cortile con delle mura alte. Pareva più una buca. Forse era una vasca. Avevo l'impressione di stare sul fondo di una piscina. Una piscina svuotata. Pensai che da un momento all'altro sarebbe potuta tornare l'acqua.
Il suo è un racconto dotto che spazia dalla solitudine di un detenuto fino al rispetto di cui dovrebbe godere in un Paese democratico. Parla della privacy che in Norvegia è applicata anche dietro le sbarre. Non si limita a filosofeggiare sul detenuto come persona, tentando di spiegare il fenomeno dell'omosessualità ( scrive di due uomini che in una doccia fanno l'amore, non scopano, fanno l'amore) ma svolge un'interessante analisi sociologica spiegando le etnie che compongono il nuovo assetto criminale delle prigioni italiane e racconta la storia di Baba, il suo compagno di cella. 
Baba è forse un assassino per noi ma in Nigeria, dove lui è nato e cresciuto, è un'assassino chi ti ruba una canoa, chi uccide per quella canoa è un povero disperato. 
La penna di Sandro si trasforma ancora una volta in filosofa quando parla della Pena che diventa una cosa sola con il suo detenuto: 
Così lei diventa più importante di te. Ti sovrasta. Ti domina.
Tuttavia la parte più toccante è quando il narratore dimentica di essere un filosofo e si abbandona ai sentimenti, come quando saluta Baba: 
Era l'uomo che mi aveva insegnato a fare la branda, a mangiare cose che avrebbero fatto vomitare un cinghiale. Mi aveva anche insegnato che le medicine fanno tutte schifo, che non bisogna necessariamente parlare per comunicare, che se hai la musica dentro puoi far suonare uno sgabello.
Nel racconto Il mio compagno di banco, l'immedesimazione è più scontata. Chi non ha avuto un primo giorno di scuola e un compagno di banco diventato inseparabile?
In realtà qui lo stile troppo alto cozza con il racconto adolescenziale. A pagina 113 la descrizione di un bellissimo giardino d'infanzia con un teatrino di marionette è una pagina da incorniciare, forse perché descrive un posto che conosco molto bene, forse perché quello si, che sembra strappato da un ricordo di un bambino. E' descritto con gli occhi di un ragazzino di undici anni. Semplice nella sua precisione. Tuttavia è più forte di Sandro, la sua formazione classica, torna prepotente tra le righe. 
Come quando puntualizza: I greci avevano inventato un sacco di cose. Tanti popoli dell'antichità lo avevano fatto, ma i greci, a differenza degli altri, avevano inventato quelle cose destinate a rimanere per sempre insuperate. 
Oppure quando parla della perifrastica attiva in un discorso diretto tra i due ragazzini, cui però aggiunge una giusta ironia adolescenziale: 

-La perifrastica esprime l'imminenza, capito? O l'intenzione. Che stai per fare una qualcosa, tipo, sei lì lì  per farla. 
-Bello. Mi piace. 
-Participio o gerundivo e verbo sum. 
-Quindi ti sto per mandare affanculo è una perifrastica?
-Si. Attiva, penso.

La trilogia si conclude con Il giorno che mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta si passa dall'adolescenza all'infanzia. 
Si perché questo è un libro che attraversa le stagioni della vita al contrario, parte da quella adulta fino ad arrivare a quella di quando si è bambini. 
(...) un giorno qualunque di una qualunque estate passata resta il miglior contenitore di ricordi che esista
Per chi non è stato così? Un bambino che vuole andare con i suoi amici ma non può perché ancora non sa andare in bicicletta, è ancora troppo piccolo. E quando chiede ai suoi amici chi ha insegnato loro a rimanere in equilibrio sulle due ruote, scopre con sorpresa che nessuno di loro sa insegnarlo ma c'è una sola persona in grado di farlo: un papà. E così descrive l'orgoglio paterno quando lui riesce nell'impresa di andare in bicicletta: 
Quello sguardo che ti avvolge come l'acqua, che si posa anche sulle cose che ti stanno intorno bonificando le zone dai pericoli. Spostando di peso i massi. Come se un Dio personale ti vedesse e ti proteggesse. Un Dio che però esiste. 
Dentro è un libro che s'infila tra lo stomaco e il cuore. Viaggia nei ricordi e nelle emozioni. Come un ricordo di un giorno di estate da bambini...parola di Tacco12.



Nove Vite come i gatti, i primi novant'anni di Margherita Hack

Come voi tutte sapete il mio esilio prosegue e, al momento, il mio unico modo di viaggiare è quello di prendere tra le mani un libro.  In realtà, in una settimana sono già arrivata a quota 4 e ne vado particolarmente orgogliosa. Dopo La Meraviglia delle Piccole Cose è il turno di un libro veramente illuminante. Sarà che, chi lo ha scritto, ha le stelle negli occhi. Sarà che non solo è illuminante ma è pregno di quel sapere che solo una donna, intelligente e vecchia può possedere.

NOVE VITE COME I GATTI - I miei primi novant'anni belli e laici di Margherita Hack casa editrice Rizzoli.
Forse alcuni di voi hanno avuto modo di leggere altri libri della Donna delle Stelle, per me è stata la prima volta e considerando che si trattava di una biografia, beh, è stata un'esperienza che consiglio a tutti di provare. 
Margherita ci racconta quasi un secolo di vita in 129 paginette, passando dalla seconda guerra mondiale fino a giorni nostri. Lo fa con uno stile tipico delle brave maestre. Quelle che riescono a trasmetterti concetti complicati con parole semplici. Lo fa come una scienziata iniziando a definire noi essere umani tutti uguali perché siamo tutti frutto di una zuppa di particelle elementari. 
La sua abilità narrativa è tale da trascinarti nei decenni con la forza di un vortice e la dolcezza di un racconto davanti al fuoco. Margherita è nata in un quartiere a nord di Firenze, Le Cure, all'angolo di Via delle Cento Stelle, tra via Volta e via Marconi. Strane le coincidenze della vita, eh?
E' una donna in anni in cui essere donna e intelligente non era semplicissimo (non lo è nemmeno ora, figuriamoci negli anni '40). Ha conosciuto le ingiustizie scolastiche, l'orrore delle leggi razziali e la paura di bocciature dovute a interessi per una politica che non era di moda e per il suo amore per la gazzetta sportiva per sapere com'era andata la partita della Fiorentina. 
A pagina 43 inoltre ci regala una pagina di storia che non è stata mai scritta. Un'idea del fascismo propria solo di chi l'ha vissuto. 
Margherita è vegetariana dalla nascita, per scelta dei genitori. E' atea. E' strana, ha anche un cognome strano ma questo non le impedisce di studiare all'Università e di scegliere seguendo la sua passione: 
Io la penso esattamente come i miei genitori (...) loro (...) mi dettero piena libertà di scelta non solo perché ammettevano di non sapere nulla di università, ma soprattutto perché credevano fermamente nel mio cammino di responsabilizzazione. ecco perché ancora oggi, quando un ragazzo o una ragazza mi chiedono quale corso di studi conviene intraprendere, io do sempre la stessa risposta: "Fai una scelta responsabile, purché sia la tua scelta". 
Una donna ormai vecchia eppure con delle idee così moderne da lasciare con la bocca aperta. 
In realtà rimarrà con la bocca aperta non solo chi è fermo con il corpo e con la mente ma anche chi, come la sottoscritta, ha viaggiato e studiato. Margherita era veramente troppo progressista per i suoi tempi ed è questo che desta meraviglia, più delle sue scoperte e delle sue stelle. 
Margherita ha viaggiato molto per studiare, ce lo racconta ma non servirebbe. Sarebbe sufficiente leggere i suoi pensieri per comprendere che è una mente viaggiatrice. 
Racconta della festa ridicola con cui ha celebrato il giorno del suo matrimonio con il suo compagno di giochi di sempre: Aldo, un grande uomo che l'ha seguita ovunque. Aveva come vestito da sposa un cappotto bianco rovesciato. 
Scrive della morte dei genitori, prima della madre e poi quella del padre che era pronto a raggiungerla a Triste il giorno successivo. Racconta le angherie sui posti di lavoro, la politica dei baroni universitari (tanto lontana e tanto vicina) e della sua consapevole scelta di non volere figli: da sempre mi attirano di più gli animali che i bambini, ma non penso sia una colpa. 
La Marghe, come ne scrive nell'epilogo finale Federico Taddei, in realtà ci racconta come va la vita e ci dà il suo consiglio: la felicità è essere contenti di quello che si ha
Insomma è un libro da leggere per darsi delle risposte e imparare a capire che la vita non è un'insieme di riti e convenzioni ma ha un'altra lettura, è un'insieme di punti di vista e siamo tutti figli di una zuppa di particelle elementari...parola di Tacco12.

03 luglio 2012

Principi, cavalli e La Meraviglia delle Piccole Cose

Tutti hanno una voglia irrefrenabile di andare in vacanza. Ci sono persone che hanno già prenotato le loro ferie, altre che hanno più o meno le idee chiare e infine ci sono io che a 5 giorni dalle ferie, ancora da capire come trascorrere, rimedio una distorsione alla caviglia. 
Procurarsi una slogatura senza indossare il tacco è davvero seccante, soprattutto se abiti in un palazzo senza ascensore. Fortuna che ho il mio Principe Azzurro. Alla bellezza di trent'anni passati, nel mezzo del cammin della mia vita, ho finalmente capito perché il famoso Principe Azzurro si presenta alla sua principessa su un cavallo. Tacchine mie, non andate alla ricerca di risposte pretestuose e troppo creative, la realtà è molto più pratica e semplice. Il mio Principe Azzurro è riuscito a portarmi a "cava cecio" per quattro piani e si è trasformato così nel suo cavallo bianco. Inizialmente non mi sono trovata molto d'accordo con la sua decisione, ho cercato di proporre i miei scenari catastrofici qualora una mancanza d'equilibrio ci avesse fatto rotolare per quattro piani rovinosamente. Niente da fare. Il Principe Azzurro è un tipo coraggioso. E' privo di corona, veste di un colore che di solito con l'azzurro ha poco a che spartire ma è dotato di forza e coraggio, binomio che non procede necessariamente insieme. In groppa al mio cavallo sono giunta a destinazione. Passati 5 giorni lo posso affermare con assoluta certezza: la distorsione è un male che può essere augurato al vostro peggior nemico!  
E' una maledizione relativamente innocua che provoca una serie infinita di rotture di balle.  Si guarisce ma con lentezza; non si mette a rischio la vita di nessuno se non quella del Principe Azzurro costretto a trasformarsi per un po' di giorni in Cenerentolo. 
"Mi prendi l'acqua?" "Scusa, Amore, puoi portarmi il telefonino?" "Tesoro, avrei bisogno di una penna". 
La vita da malata mi fa schifo. Sembra tutto impossibile da realizzare. Vi rendete conto che maledizione terribile mi è stata inviata da chissà quale maledetto invidioso in circolazione??? Ah, ma se lo becco. Tutto questo la settimana prima delle mie ferie e prima dei saldi. Oh, mio dio non è che è stato mio padre? Oppure il mio Principe Azzurro??? La slogatura alla caviglia m'impedisce di usare l'accessorio che amo più di tutti in assoluto: le scarpe. 
Il Principe Azzurro mi ha detto: 
"Toh, te ne serve solo una! Pensa ti si raddoppierebbero le scarpe se avessi una gamba sola".
C' ho riflettuto un po' ma ho ritenuto che due gambe sono meglio di due scarpe  anche se...scherzo, scherzo. Il Cenerentolo affaticato un po' m' induce alla tenerezza, un pochino lo temo. 
Il soprannome che ho trovato più calzante (anche se le scarpe non le posso mettere. Cioè non posso mettere la scarpa destra) mi è sembrato essere quello di Signorino Rottermeier, se poi si considera che badava a Clara (e io sono Chiara) una bimba bionda e innocente (come me!) è il soprannome perfetto. 
E' vero che per necessità non faccio altro che chiedere ma vi assicuro che lui ci trova un certo gusto soprattutto quando deve urlarmi: "Non ti muovere!" "Dove vai? Ho detto che ci vado io" e ancora "Hai preso la pasticca? Hai bevuto? Hai mangiato? Hai fatto la cacca???" "Insomma stattene ferma un attimo, ti alzi sempre". 
Ora riconosco di essere un po' agitata e di odiare la reclusione ma vi assicuro che mi alzerò 3 o 4 volte al giorno, giusto per andare al bagno. 
La distorsione implica anche un paio di cosine che vengono sottovalutate: 
1. ho le stigmate per poggiare i palmi della mano, con tutto il mio leggerissimo peso, sulle stampelle; 
2. per tenere la gamba sempre alta, o almeno dritta, mi si è infiammato tutto il nervo sciatico. 
Comunque sto bene, del resto ci sono solo 40 gradi fuori e che me ne importa se non posso andare al mare, mi abbronzerò ad Agosto, sempre che la caviglia decida di tornare al suo posto. Ci tornerà anche perché sono stata bravissima. Ho saltato solo su una gamba quando l'Italia ha passato il turno con la Germania e Domenica, contro la Spagna, beh non c'è stato molto da saltare. 
Mi ero già attrezzata con la maglietta della Nazionale e il mio Principe Azzurro sapeva che, se avessimo vinto, non l'avrebbe fatta franca. Avrebbe dovuto scorrazzarmi in lungo e largo per la Capitale a vedere i festeggiamenti. Non me li sarei persi. Il problema non si è posto. Dal divano non mi sono mossa. 
Esiste una certa  bellezza nell'essere inchiodata su un divano. Quella di spegnere la tv e aprire i libri.
Mi sono messa all'opera e sto leggendo molto, ho pensato di recensire le mie letture così che voi abbiate qualche consiglio utile sulle storie (oltre a farvene di vostre s'intende) da leggere sotto l'ombrellone, sul divano o in montagna.  
Il primo libro che sottopongo alla vostra attenzione è: 
 LA MERAVIGLIA DELLE PICCOLE COSE di Dawn French
Ho scelto questo libro intanto per il titolo (non vi sembra delizioso?), in secondo luogo perché ne avevo sentito parlare molto bene e infine perché la dedica dell'autrice dice così: 
Per la migliore delle mamme. Mia mamma. Roma. 
Ditemi voi come potevo non comprare il libro di una inglese che ha la mamma che si chiama Roma, semplicemente fantastico. 
La scrittrice racconta le vicende di una famiglia a dir poco "stramba" attraverso i pensieri dei personaggi che la compongono. Ogni capitolo è una pagina di diario o una parte di pensiero dei protagonisti. Uomini, donne, adulti e ragazzi spiegano l'avvicendarsi della vita familiare ciascuno dal loro punto di vista. C'è Mo, la madre. Una donna colta, psicologa, sempre perfetta, come la crede la figlia adolescente, eppure sull'orlo di una crisi di nervi che la potrebbe portare verso scelte radicali. 
C'è la figlia adolescente, appunto, Dora. Alla vigilia dei suoi 18 anni, senza un ragazzo, con pochi amici. Si sente grassa e brutta. Voglia di studiare poca. La sua ambizione: partecipare ai provini di X-Factor. 
Il figlio di 15 anni Peter ha invece una personalità ben definita. Una specie di dandy fuori contesto.
Un Oscar Wilde dei nostri tempi ed è per questo che detesta la sciatteria della sorella, s'innamora di ragazzi con un grande gusto estetico e sensibilità spiccata, e si fa chiamare Oscar. 
Il padre Den, o Pater come dice Oscar, è la figura più silenziosa. E' il protagonista in prima persona  di un solo capitolo ma è presente in tutti. Una presenza costante che si rivelerà con tutta la sua potenza nelle pagine finali. 
A fare da contorno saranno nonna Pamela, Noel e X-Man. Delle amiche emo di Dora, la sua migliore amica Lottie e Luke l'amico di Oscar. Tra i personaggi secondari, quello che regge tutte le fila dei pensieri è nonna Pamela, con le sue torte al whisky e frutta e i suoi consigli progressisti. Una specie di figlia dei fiori nella terra della Regina Elisabetta. 
Chi ama lo humor inglese adorerà questo libro. Voglio regalarvi qualche frase per lasciarvi intuire lo stile di ciascun personaggio. Vi presento DORA, questo è uno dei modi che usa per descrivere la madre: 
Assomiglia al rumore di quando si cerca di sintonizzare la radio e non si trova il canale. Quel rumore di mezzo è lei. Un'interferenza.
Questa invece è la mamma MO davanti allo specchio: 
Ma cos'erano quelle rughe e quei solchi (...) A chi appartenevano? L'ho capito subito, appartenevano a Pamela. Alla mia stramaledetta madre (...) Non è che non mi piaccia il viso di mia madre, è solo che appartiene a lei, non a me.
E concludiamo con Peter/Oscar in visita da nonna Pamela: 
Di norma non mi fido mai di una donna che sfoggia abiti di nylon, ma nel caso di mia nonna tutto è perdonato poiché è completamente all'oscuro delle gioie della moda e assolutamente priva di un briciolo di stile. 
Dimenticavo di aggiungere, tra i personaggi, il cane Poo e il cucciolo Elvis. Il ricettario a fine libro e Den, l'ultima parola della storia (non so voi ma guardo sempre l'ultima parola) come il numero delle pagine 329, escluso il ricettario. Una lettura che scivola come un tè inglese alle cinque del pomeriggio.
Non vi resta che berlo, magari freddo vista la stagione. 

Grazie Italia di essere umana

Il bacio si è interrotto. Come un amante che dopo averti travolto con baci lussuriosi gli occhi, le guance, le labbra, i lobi delle orecchie d'improvviso cessa di mordere delicatamente il tuo volto e decida di sigillare quel momento di passione con un bacio sulla fronte come a dire : "Mi sono sbagliato". 
Ecco, la Nazionale ci ha trattati così. Sedotti e abbandonati nel sogno di alzare una coppa lontana 44 anni. Per l'occasione, dopo l'infortunio che mi ha colto costringendomi sul divano da giorni, avevo deciso di cambiare divano. Volevo godermi la Finale Spagna - Italia facendo finta di essere in vacanza. Proprio come quando ero ragazzina e nel bar all'aperto della piazzetta di Lido di Enea ho assistito al rigore di Roberto Baggio codino d'oro. Che delusione. Oppure quando a Italia 90 ero davanti al maxi schermo del campeggio di Roseto degli Abruzzi e guardavo il mio idolo Giuseppe Giannini giocare contro l'Argentina di Diego Armando Maradona. 
Volevo sentirmi in vacanza nella speranza di esorcizzare quelle delusioni passate. 
A differenza dei Mondiali, non so per quale motivo, degli Europei ho ricordi meno nitidi. Questo lo volevo ricordare e lo ricorderò e come, temo. 
Con il senno di due giorni dopo sono certa che di poter affermare che è stato un grande Europeo, perso in finale contro una grande Spagna. 
Avevo sottovalutato gli spagnoli. Contro il Portogallo li avevo trovati spenti e poco motivati. L'Italia invece era determinata, voleva vincere. In realtà entrambe le cose erano vere. Le avevo lette nella maniera corretta. L'errore reale è stato quello di credere che il Cuore potesse fare la differenza. Anche la Spagna ha un Cuore grande. Lo ha dimostrato dedicando la vittoria a Puerta dipinto sulla maglietta dei campioni a fine gara.
Ha detto bene Buffon: "Nel calcio ci sta che si perda se s'incontra un avversario molto forte"
Merito ai vinti dunque e Bravi ai nostri Ragazzi!  Ciò che mi è dispiaciuto molto è stato vederli letteralmente a pezzi. Tanto da concludere la partita in 10. 
Daniele ha sfoderato due occhiaie da far invidia a un panda, ha decisamente bisogno di una vacanza. Cassano sempre in affanno tanto da essere sostituito. E' lui l'uomo che è mancato più di tutti. Lui non ha girato e lì davanti, quelli che definiscono Balotelli un "fenomeno", spero si siano resi conto che "il fenomeno" non esiste. Lui non segna da solo. Lui non fa la differenza se quello che gira intorno non funziona. La grandezza di questa è squadra è stata la sua coralità. 
La Spagna ha sia coralità che gli individui, è una spanna sopra le altre, è un extra terrestre. 
L'Italia è una squadra, vera fatta di giocatori più o meno forti. Fatta di lacrime, crampi e passaggi sbagliati. Di gol memorabili, rigori e punizioni alte o filtranti. L'Italia è umana. 
A inizio match il Guru mi aveva detto: "Ho paura dei primi minuti, se ci mettono sotto e ci fanno un gol è finita". Il Guru ha sempre ragione. E quando a fine partita gli racconto: 
"Lo sai che tifosi intervistati prima della partita avevano detto che sarebbe stata come una partita di tennis? E io che li prendevo per matti" lui mi ha risposto: 
"I tifosi sanno che hanno una squadra invincibile. Avrebbero dato quel pronostico contro qualunque squadra fosse arrivata in finale al nostro posto". 
Già, mi è venuta voglia di avere una squadra invincibile. 
In conclusione è stato un bell'Europeo quello giocato. Quello che è girato intorno un po' meno. 
Ho visto il nostro Primo Ministro sedere in tribuna: perché? Lui ha detto che il calcio andrebbe fermato due anni; ha sostenuto, a mio avviso correttamente, il boicottaggio dell'evento per solidarietà nei confronti della Timoshenko eppure con una letterina al presidente ucraino Yanukovich, si è sistemato la  coscienza. 
Non mi piace giudicare e sono certa che una persona seria come Monti sa quello che fa, però vorrei capire l' incoerenza delle sue azioni. 
Cosa meno comprensibile e condannabile è stata la radiocronaca di Radio Padania che ha esulato ai gol della Spagna manifestando grande gioia per la sconfitta dell'Italia. Così come non mi è piaciuta una bandiera Nazista in mezzo a tanti tricolori a Circo Massimo. Ecco a volte ritengo che la libertà di stampa finisca laddove si violi la Costituzione. 
Per il resto oggi è già martedì e il mio pensiero non può che correre a Trigoria. Un saluto alla Spagna vincitrice e la speranza di vedere una Roma nuova: più italiana e meno spagnola. Parola di Tacco12. 

PostScrptum: a chi ci definisce un popolo di piagnoni suggerisco di studiare molto bene la storia. L'Italia non piange mai. L'Italia si emoziona. 
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