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07 marzo 2016

Guerra di Parole nel Carcere Romano di Regina Coeli

Guerra di Parole al carcere Regina Coeli di Roma

Siete mai entrati in un carcere?
A me è successo qualche giorno fa in occasione della Guerra di Parole organizzata dall'Associazione Per La Retorica la cui presidentessa è Flavia Trupia, amica e moglie di un mio caro collega, e realizzata con la collaborazione dell'Università di Tor Vergata, la Crui, il Carcere Regina Coeli e il sostegno della Regione Lazio. 

REGINA COELI, IL CARCERE 


La Retorica e la linguistica sono due delle mie grandi passioni, così quando vengo a sapere di questa iniziativa sento che voglio sostenerla. Procediamo con ordine.
Al numero 29 di via della Lungara, con il Tevere che scorre a pochi metri, si trova il Carcere di Regina Coeli.
Un edificio antico risalente al 1654. Un palazzone marrone che spesso i romani guardano distratti bloccati al semaforo sul lungotevere o affacciati dalla terrazza del Gianicolo.
Quando entri devi lasciare tutto: casco, borse e cellulari. Per un momento, non troppo breve, sei fuori dal mondo e sei lì in catene.
Vorresti catturare il senso di oppressione che senti attraversando ambienti privi di finestre, separati tra loro da porte di ferro a doppia o tripla mandata. Cerchi il cellulare per scattare una foto, per immortalare quell' attimo ma nella tasca non trovi nulla. Devi affidare quei momenti e quelle sensazioni solo alla tua testa e al tuo cuore. Un esercizio che a lungo abbiamo dimenticato di svolgere.
Un freddo corridoio ci conduce a una rotonda illuminata dall'alto da un lucernaio. La statua della Madonna ti si staglia davanti con le braccia aperte come a dire "che ci possiamo fare, siamo finiti qua".
I miei occhi scorrono timorosi ai piani più alti ed è in quel momento che mi rendo conto di cosa sia un carcere.
Detenuti curiosi schiacciano i loro volti tra le sbarre dietro al vetro per guardare verso il basso, lì giù dove la gente "normale" entra a fare chissà che cosa.
Quella gente normale che fuori può andare dove vuole, che diamine ci viene a fare qui? Sembrano animali in gabbia.
Vorrei guardare di più ma la paura di offenderli prende il sopravvento e allora procedo lentamente a testa bassa verso gli ambienti della biblioteca dove dalle 10 alle 12 ci sarà #GuerradiParole, una gara di retorica.



GUERRA DI PAROLE, LA SFIDA 

Un evento inusuale e che a una prima, e facile, lettura appare un po' scontato nel suo risultato finale. Potranno mai i detenuti vincere una gara di retorica contro degli studenti universitari (nel caso specifico di Tor Vergata)?
Chi non è mai stato in un carcere può incorrere in questi luoghi comuni.
Fotografi e giornalisti riempiono la sala. Davanti a me molte sedie, davanti alle sedie due scrivanie poste obliquamente una alla mia sinistra, l'altra alla mia destra e nel centro spostate verso la parte finale della stanza dalle bianche pareti, tre sedie e tre sedie separate da un elmo e da due pergamente con su scritto: #GuerradiParole squadra vincitrice Università di Tor Vergata e #GuerradiParole squadra vincitrice Casa Circondariale di Roma Regina Coeli.
Ci vogliono un po' di minuti per sbrigare tutte le procedure necessarie alla sicurezza perchè l'evento abbia inizio.
La giuria nel frattempo prende posto.  Valeria Della Valle, linguista e Ciro Pellegrino, avvocato e professore universitario si siedono alla sinistra del pubblico. Di fronte a loro: Alessio Falconio, direttore di Radio Radicale; Carolina Crescentini, attrice e Alberto Matano, conduttore del Tg1.
Mi avvicino a Carolina Crescentini per chiederle un commento.
E' molto gentile e ben disposta. Ha gli occhi così chiari che se è vero che sono lo specchio dell'anima, la sua è trasparente.
Chiacchieriamo un po', mi racconta le sue sensazioni su questa iniziativa e su Regina Coeli. Intorno alle 11.00 Flavia Trupia, organizzatrice dell'evento insieme all'attore Enrico Roccaforte, annuncia l'ingresso delle squadre.
I primi sono i signori detenuti. Flavia li chiama per nome di battesimo per tutelarne la privacy. Sono emozionati. Lo si nota dal modo in cui si guardano attorno. Sorridono imbarazzati e scherzano tra di loro. Si sentono osservati speciali e lo sono. Li guardo prendere i loro posti proprio una fila davanti a me e mi domando: che avranno mai commesso queste persone che hanno il volto così comune a quello di chi è fuori da questo carcere?
Li osservo sedersi e gesticolare tra loro. Hanno indossato i vestiti più belli che avevano, si sono pettinati per l'occasione e cercano di respirare tutta quell'aria di libertà che noi del pubblico gli abbiamo portato con i nostri occhi, con i nostri applausi, le nostre risate e la nostra leggerezza. Qualcuno stringe un blocchetto con una penna, qualcun altro si gira a controllare che sia proprio tutto vero.
Subito dopo è il turno dei ragazzi dell'Università di Tor Vergata. Entrano fieri, senza rughe in faccia, con il volto pulito di chi profuma di bagnoschiuma. Sportivi e alla moda, preparati e sicuri che avranno la loro da dire. Sono un po' imbarazzati certo e decisamente più giovani.
Flavia spiega le regole del gioco: due round da 20 minuti ciascuno per sostenere prima una tesi e poi il suo opposto.
Tre rappresentanti per ciascuna squadra a darsi battaglia. Il tema è la Legittima Difesa.
E' richiesta: brevità (ciascuno ha circa un minuto a disposizione) ed educazione, infatti è vietato interrompere l'avversario. La giuria dovrà giudicare il vincitore in base al rispetto delle regole e alla argomentazioni. Il pubblico potrà sostenere i partecipanti solo con incitazioni come "Bravo!" non sono ammessi cori e versi di disapprovazione.
Un appello all'inizio del round e uno alla fine per bocca di un rappresentante di ciascuna delle due squadre. Al termine della Guerra di Parole un appello finale, una sorta di arringa conclusiva.
Enrico Roccaforte tiene il tempo con un timer mentre le due squadre si danno battaglia ed è in quel preciso momento che si rimane senza fiato.
Se avessi chiuso gli occhi non avrei mai pensato che la discussione cui assistevo fosse tra studenti e carcerati. Proprietà di linguaggio, esempi calzanti e tanto impegno. Un vero spettacolo a tratti esilerante. Una Guerra di Parole fino all'ultima lettera.

Accadde al Penitenziario, film del 1955

IL VERDETTO

Sono le 12.00 quando la Giuria si alza per andare a deliberare.
Nel frattempo Enrico legge una poesia scritta da uno dei detenuti che poi invita a parlare. Ha tante cose da dire ma non ci riesce. La commozione lo confonde, le parole fanno le capriole, i concetti si mascherano da discorsi senza filo ed è costretto a tornare al suo posto e con tante emozioni da trasformare in poesia. Una ragazza portoghese, della squadra degli studenti, ringrazia tutti coloro che hanno reso possibile la sua partecipazione a questa inziativa, anche lei è commossa e il suo italiano non è perfetto. La sua mano trema veloce, sembra una farfalla che non riesce a volare.
La Giuria rientra e delibera:

'Per la forza delle argomentazioni, per aver rispettato le regole della civiltà, per aver esposto le proprie argomentazioni con passione e vivacità, la giuria ha decretato vincitori i Signori di Regina Coeli'. 

Un risultato diverso mi avrebbe deluso. Sono stati più bravi, hanno emozionato il pubblico, hanno messo in scena la loro esperienza. Gli studenti hanno usato artefici retorici più da manuale, sono rimasti più ingessati e meno spontanei.
Esco un po' prima degli altri. Attacco al muro il mio post it giallo con su scritto un aggettivo per descrivere #GuerradiParole: Sorprendente.

LA LIBERTA'

Sandro, un mio amico che lavora in carcere, mi accompagna verso l'uscita. Che sollievo averlo al mio fianco. Mi racconta del braccio dove è lui di servizio:
"Il braccio 8 quello degli stupratori e dei pedofili".
Mi prende una fitta. Stanno per servire il pranzo nel carcere. I detenuti hanno una cucina dove preparano da mangiare per tutti, mentre i dipendenti hanno una ditta esterna che si occupa della mensa.
"Sono stato 20 anni a Rebibbia, qui è tutto molto più piccolo non ci sono nemmeno le donne. Pensa a Rebibbia ce non quasi 500".
Il Carcere di Regina Coeli conta quasi mille detenuti. Sandro mi accompagna oltre la rotonda, mi racconta di un assassino che ha preso la seconda laurea mentre scontava la sua condanna; mi spiega che i detenuti con i pantaloni marroni sono liberi di andare in giro per il carcere e che quelli scontano vari tipi di pene incluso l'omicidio.
Continua a parlare mentre sta per terminare il lungo corridoio che porta all'ingresso. Mi saluta con un "sempre forza Roma" e torna al suo lavoro.
Non avevo mai parlato con lui di come si sente, di com'è il suo lavoro. Noi andiamo allo stadio insieme e parliamo solo della Roma ma come è finito a lavorare lì e come si sente ogni volta che entra e che esce da quel posto?  Ci vuole una grande forza per lavorare lì ogni santo giorno.
Raccolgo le mie cose e mi affretto a controllare il cellulare, dato che non ho avvisato nessuno che me ne sarei separata per due ore. Ringrazio il vigilante e saluto.
Esco diversa da com'ero entrata scendo quel famoso gradino che la tradizione racconta così:

« A via de la Lungara ce sta 'n gradino
chi nun salisce quelo nun è romano,
nun è romano e né trasteverino
 » 

Io l'ho salito e l'ho pure disceso. Ho guardato il cielo grigio e pregno d'acqua e ho respirato. Mi sono sentita così fortunata e libera. Mi è bastato solo chiedere di uscire per ottenerlo.
Durante il primo e il secondo round un detenuto si è avvicinato a uno dei giurati:
"Ciao! Ti ricordi di me? Salutami tanto tuo padre, mi raccomando!" e quando il giurato con aria sorpresa  gli ha chiesto:
"Ma che ci fai qui? Quando esci?"
Lui ha sospirato e ha risposto : "Eh, è andata così. Spero di uscire presto".
E speriamo che lì fuori lo Stato aiuti chi ha pagato le sue colpe con una pena ad avere una nuova vita, "Abbiamo sbagliato" hanno ammesso a conclusione della Guerra di Parole "e stiamo pagando. Chiediamo solo una seconda possibilità, non si nega a nessuno no?"

Accadde al Penitenziario, film del 1955





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